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Le comunioni minori di uno

Io ho fatto la primina.

Ho frequentato la prima elementare in una scuola privata (dai preti) e sono stato accolto tra le solide (allora) braccia della scuola pubblica solo in seconda, a sei anni, nemmeno “emmezzo”.

La seconda in cui entravo trovando nuovi compagni era presidiata dal mitico Maestro Morosini, di cui oltre all’umanità e alla capacità didattica, si ricorda il suo approccio alla grammatica calibrato sull’etnia (romana) dei suoi allievi. Due leggi che allora e per lungo tempo mi erano sembrate universali, mi sono reso conto solo recentemente che non hanno molto valore fuori dal raccordo. Eccole.

Primo principio del Morosini: nelle parole che contengono -GION- la G non si raddoppia mai. Es.: approvvigionamento, sprigionare, ecc. Eccezione (perché erano i tempi in cui ancora l’eccezione confermava la regola): loggione “perché viene da loggia” (ça va sans dire).

Secondo principio del Morosini: nelle parole che contengono -BIL- la B non si raddoppia mai. Es.: preferibile, affabilmente, ecc. Senza eccezioni (?)

C’erano poi un numero indefinito di dogmi da imparare più o meno a memoria, anche questi poco esportabili fuori dal cono d’ombra dei Sette Colli. Tipo: vigile vuole una G sola, pomeriggio una M sola, caramella idem, terra e guerra che ve lo dico a fa’, salsiccia e non salciccia, prosciutto e non prociutto, ecc.

Ma, e vengo al punto, il Morosini per quanto anziano (infatti finì la nostra seconda e se ne andò in pensione), era un maestro nuovo per tutti. Cioè, i compagni “regolari”, quelli su cui noi che avevamo fatto la primina ci eravamo innestati, non lo avevano avuto come maestro l’anno precedente. L’anno prima, quella classe l’aveva avuta la Maestra ***. Costei era un’altra arzilla anziana (e infatti andò in pensione pure lei subito prima che arrivassi io) che fisicamente ricordava uno scaldabagno: alta un metro e venti, faccia tonda e rubizza, pienotta (a dir poco) con dei capelli di lana di ferro in testa.

Ciononostante, era amatissima dai suoi ex -allievi. E tu come lo sai? Eh, lo so. Perché, visto che l’erba cattiva non muore mai, la neo-pensionata si annoiava ed era solita fare frequenti blitz nella nostra classe per vedere “se stavamo bene”.

I blitz erano tutt’altro che disinteressati, ma prima bisogna fare una parentesi.

I dibattiti scuola pubblica o scuola privata, ora di religione o ora di educazione sessuale (più o meno teorica), crocifisso o foto di Lenin sul muro, sono qualcosa di molto moderno. In epoca pre-moderna (1978-79), in uno stato laico nato da un Risorgimento massonico e dalla Resistenza, nella classi di una scuola pubblica di un quartiere alto-borghese di Roma, si pregava. Due volte al giorno.

Segno della croce. Amen. Padre Nostro. Amen. Ave Maria. Amen. Eterno riposo (solo a Novembre, gli altri mesi cazzi loro). Amen. Segno della croce. Amen.

Di questa cosa si parla poco, ma con gli occhi di oggi a me sembra abbastanza surreale.

Quella classe avrebbe cambiato 4 maestri in 5 anni (***, Morosini, un’altra vecchia per 3a e 4a e poi il maestro Coniglio in 5a). Quest’ultimo era il migliore, avendo almeno circa 50 anni meno dei predecessori, e non ci faceva pregare, anche perché -forse- eravamo già nei “luccicanti anni ’80 della televisione commerciale”. Nonostante fosse il migliore, Coniglio non è il suo vero nome (che non ricordo), ma era così chiamato in virtù dei dentoni che aveva davanti. Vabbè.

Tornando a noi, non era un mondo alieno al metafisico e ai misteria fidei, anzi, ma la Maestra *** alzava il livello dello scontro. I suoi blitz, infatti, avevano sempre un secondo e un terzo fine che in un modo o nell’altro si risolveva in una colletta per i bambini affamati dell’Uganda, per i mutilatini del Congo e i lebbrosi di altri posti ugualmente evocativi. Quindi, fra depliant di pance gonfie, mosche, santini e spiegazioni orrifiche su quanto è brutto, per un bambino, avere la lebbra (e grazie al cazzo), finiva sempre per bussare a soldi e, tra le ovazioni generali dei suoi ex-allievi, spesso ci riusciva.

A me personalmente, questo affetto verso una vecchia signora, un po’ maleolente e incline all’abbraccio, con cui non avevo mai avuto nulla a che spartire, mi faceva sentire un po’ escluso dalla vita della classe e reagivo con la navigata nonchalance che puoi avere a 7 anni.

Ma chi è questa? Che vuole?

Ma è la nostra maestraaaa…

E’ la vostra maestra. Io ho fatto la primina…

Sarei tentato di rivendere questo scambio di battute come una precoce presa di coscienza della laicità dello stato in cui in nuce c’era già il disprezzo verso le superstizioni, il razionalismo occidentale e l’anticlericalismo militante, ma purtroppo era solo invidia verso gli “altri” che avevano qualcosa di condividere e da cui io ero escluso. In ogni caso, da me la Maestra *** ha sempre beccato poco in termini di “beneficenza”.

Naturale climax di questa orgia di carità (pelosa?) era una gita di tutta la classe, tutti gli anni fino alla 5a elementare con pullman Gran Turismo, alle Catacombe di S. Callisto sull’Ardeatina (12 km dalla scuola a dire tanto) con:

  • visita alle catacombe medesime. Freddo, umido, microclima malsano (terra bagnata, cadaveri, ossa, mummie varie e frati vivi);
  • lezione in aula (fredda e scomoda) sulle vite di qualche santo “che aveva molto a che fare con i bambini”, cosa che all’epoca si poteva ancora dire liberamente. In particolare, gettonatissimi, erano i santi con il cognome: San Filippo Neri, Don Bosco e un mai sufficientemente approfondito (San) Domenico Savio, a quanto ho capito tirapiedi di Don Bosco.
  • E, finalmente, climax nel climax, la Santa Messa.

San Domenico Savio

Sulla Santa Messa, c’è l’aneddoto più curioso di questa già strana faccenda. Come tutte le sante messe che rispettino, a un certo punto si faceva la Comunione. Visto che gli adulti erano pochini, qualche frate, il maestro di turno e la ***, i bambini erano invitati al sacro desco, nonostante, come qualcuno di loro poco trasgressivo facesse notare, stessero tutti frequentando il catechismo proprio per prepararsi alla Prima Comunione.

Zi’ Prete regolarmente diceva “Non vi preoccupate, la comunione è comunione, non c’è la prima e la seconda, l’importante è il cuore con cui la si fa“. Oltre non avere tutti i torti, evidentemente si faceva un punto d’onore di distribuire ostie ad una fila di più di tre persone.

Io, all’epoca abbastanza schifiltoso, ero molto preoccupato dal sapore che potesse avere quel misterioso dischetto bianco che facevano passare per “pane” (!) e quindi la prima volta, in seconda elementare, mi sono fiondato su quell’opportunità di assaggio e tranquillizzarmi rispetto al fatto che un giorno, un giorno importante, potesse non piacermi al punto da non riuscire ad inghiottirla, come mi capitava e mi capita ancora, ad esempio, col fegato.

Ebbene, per motivi che non sto a dirvi, io ho fatto tre anni di catechismo invece che due (ripetente), e quindi ho fatto la “prima” comunione in quinta anziché in quarta come il 90% dei miei  compagni. Contando almeno 4 gite con santa messa e comunione abusiva prima del grande giorno, si può dire che ho fatto più volte la comunione prima della prima comunione che dopo.

  1. gio
    5 novembre 2010 alle 04:37

    ammazza quanto sei fico – sempre più convinto. vorrei tanto chiavare con un cervello così, ma a notare uno bello si fa troppo prima. cazzo!

    ah, dimenticavo: apotropaico, sufistico, ermeneutico, sillogistico, mesmerizzante, palamidone… Sensa treccani, siori, venghino! sensa treccani!

    ciao 🙂

    • 5 novembre 2010 alle 08:39

      Io ti pubblico, ma sinceramente non t’ho capito…

      J

  2. gio
    5 novembre 2010 alle 04:39

    Ma che due maroni ho fatto duepuntiparentesi ed è uscita la faccina gialla. ri-ciao

  3. gio
    5 novembre 2010 alle 14:05

    scusa, cancella pure, era solo un modo per dirti che mi affascina oltremodo il tuo scrivere. In un momento di non integrale lucidità.

  4. barnaba
    9 novembre 2010 alle 20:04

    … io la vorrei assaggiare quest’ostia santa.

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